IL BAMBINO CHE VOLEVA DIVENTARE COLIBRI’
Arnaldo Quispe
Quando Abelito raggiunse l’età scolastica, divenne subito oggetto di scherno da parte dei compagni per la sua pelle bianca. Durante l’intervallo, lui tentava di giocare con gli altri bambini, ma loro lo allontanavano e lo deridevano chiamandolo, in tono beffardo, “yuraqerqe” (bambino bianco) e “yuraqrumi” (pietra bianca).
Abelito non capiva perché lo maltrattassero né cosa significasse avere un colore di pelle diverso, e quando tornava da scuola correva a piangere e a lamentarsi dal suo caro albero di eucalipto.
Sapeva di essere diverso dagli altri bambini perché un anno prima aveva scoperto, guardandosi in una pozza d’acqua, di avere la pelle più bianca dei suoi fratelli. Mentre la loro era color del rame, come gli APU dell’orizzonte andino, la sua era bianca come il latte delle mucche. Ma prima di cominciare la scuola, quella piccola differenza non gli era pesata affatto.
In una calda domenica, Abelito, che era un bimbo vivace e curioso, fu preso dalla voglia di giocare e di rincorrere le sfuggenti pernici e le viscacce andine. Tra una corsa e l’altra, giunse in un prato dove vide uno stormo di colibrì svolazzanti che sembravano giocare coi fiori colorati.
Impressionato e affascinato dai loro movimenti e dalla rapidità delle loro ali, pensò: “Come mi piacerebbe essere un q’ente, e giocare tutto il giorno come loro. Non voglio più essere un bambino”.
Dopo aver giocato per tutto il pomeriggio, Abelito cadde esausto sotto il suo amato albero di eucalipto. La stanchezza e la rilassante fragranza dell’albero lo fecero piombare in un sonno profondo e ristoratore.
Quando aprì gli occhi, il piccolo vide che era circondato da tanti colibrì e fiori variopinti. E con sua grande sorpresa scoprì che si era trasformato in uno di loro. Vide che al posto delle braccia aveva delle piccole ali, al posto dei piedi delle minuscole zampette e al posto delle labbra un lungo e sottile becco, proprio come gli uccellini che lo affascinavano tanto.
La prima reazione fu di spavento, ma quando si accorse che poteva alzarsi in volo e muoversi nell’aria, ogni suo timore scomparve e si lasciò prendere da quella bellissima sensazione … Quando poi cominciò a succhiare il dolce nettare dei fiori, la sua felicità fu completa e lui si arrese alla dolcezza e alla bellezza di quella nuova vita. Finalmente il suo sogno si era avverato: era diventato un vero colibrì!
Abelito era felice perché poteva fare tutto quello che voleva e non doveva più preoccuparsi dei suoi fastidiosi compagni di scuola. Era libero, volava tra fiori meravigliosi e si divertiva tantissimo. Tutto gli sembrava perfetto.
Verso il tramonto, tutti i colibrì vennero convocati dallo spirito di Madre Terra a dare il resoconto del lavoro quotidiano. In quanto messaggeri della Pachamama, essi avevano infatti il dovere di pensare al bene comune e di condurre una profonda vita spirituale.
Dovevano anche riunirsi periodicamente in Consiglio per ragionare sulle grandi questioni della vita, aiutare i loro simili, e accordarsi sui pellegrinaggi che di volta in volta dovevano realizzare.
Quando Abelito venne a conoscenza di quelle incombenze, pensò che la vita dei colibrì non era poi così piacevole e cominciò a sentire la mancanza della mamma, dei suoi fratelli, della sua casa e del suo amato eucalipto.
Cominciò a sentire nostalgia per la scuola, per la sua maestra, e persino per i suoi beffardi compagni. Piuttosto che condurre la vita sacrificata dei colibrì, preferiva tornare ad essere un bambino, con tutti i pro e i contro della sua condizione.
La nostalgia divenne così intensa che scoppiò a piangere e gridò: “Voglio tornare ad essere un bambino!”.
In quel momento ebbe un soprassalto e si accorse che si era trattato solo di un sogno. Abelito allora si mise a saltare dalla felicità e promise a se stesso che non avrebbe più voluto essere qualcun altro.
Quando ritornò a scuola, i suoi compagni cominciarono a trattarlo con rispetto e pian piano lo riconobbero come loro leader.
I soprusi del passato erano ormai dimenticati. Abelito aveva capito la sua lezione ma sentiva anche che, in qualche modo, i colibrì gli avevano cambiato la vita. Quei sacri e umili messaggeri della Pachamama gli avevano infatti insegnato l’amore e il rispetto per la natura.
E poiché molte volte l’accompagnavano nelle sue escursioni naturalistiche, i suoi amici cominciarono a chiamarlo “Yuraq q’ente”, il “Bambino-colibrì”.